L'antropologia illustra inequivocabilmente anche la tendenza umana a sfruttare lucrativamente le fobie ataviche quali la morte.
E' questo un ulteriore esempio fornito dal "Test della morte", consistente in un semplice prelievo ematico che ad una analisi dei telomeri ricondurebbe la reale età individuale, tendenzialmente differente da quella anagrafica.
Tale analisi è stata ideata da un azienda spagnola con sede in Inghilterra e pare che abbia già diviso il fronte etico. Per i più si è difronte ad una speculazione lucrativa concernente le agenzie assicurative, in quanto è facile immaginare che gli individui consapevoli della durata approssimativa della loro vita si rivolgano più assiduamente per stipulare polizze in favore dei familiari. Il test prevede l'analisi dei telomeri dei cromosomi, le porzioni terminali di questi ultimi; la loro lunghezza è direttamente proporzionale alla durata della vita, pertanto
chi ha porzioni più corte dovrebbe essere prossimo alla fine. Il desiderio di conoscere la propria sorte, tentando di esorcizzarla vanamente con la conoscenza della durata della vita rappresenta icasticamente il limite umano. Il controllo. L'uomo ha sempre tentato di dominare il suo destino, o di dargli un senso. Non potendolo controllare tenta l'esercizio di tal funzione sulle masse che a loro volta controllano il sistema. Un tessuto sociale privo di instabilità, incapace di comprendere la vita come un flusso mutevole riflesso dell'evoluzione stessa, che comporta spesso sofferenza. La nascita inizia con il pianto; liberare i polmoni dal liquido amniotico e permettere alla piccola circolazione i primi scambi gassosi provoca dolore. Ci si interroga sul senso dello sbadiglio, del pianto perdendo spesso le verità essenziali. Leggi sulle previsioni esprimono il desiderio del controllo di questo Universo dinamico. L'Encefalo prova a sottrarre il corpo al processo di selezione naturale, indagando in modo sempre più invasivo la durata della vita. Anzichè comprendere che, così come le cellule cooperano per alimentare la vita anche noi dovremmo fare altrettanto, si ricerca la propria unicità in impobabili dottrine fondamentaliste. Si rinnega il dinamismo universale e si tende a creare eremi allotropici nei molteplici strati dell'animo, dove potersi fermare, illudendosi che esista un luogo permeato di staticità.
Rallentando la macchina universale, rallentiamo noi stessi e il nostro sviluppo psico-emotivo. Solo prendendo la vita come una corsa a perdifiato se ne comprende l'essenza, e dicotomica dalle aspettative razionali, che pleonasticamente si ripetono nella storia. Il prezzo del non dover restare indietro è non poter prevedere sempre la strada migliore, ma l'esperienza consente di avere una maggiore abilità orientativa. Correndo, si svilupperà maggiore resitenza, e come disse qualcuno "Alea Iacta Est", all'imbocco di una strada.